In Italia sono oltre 1 milione le persone colpite da forme di demenza: un numero destinato ad aumentare nei prossimi anni in tutto il mondo, a causa del costante invecchiamento della popolazione.

La forma più frequente è la malattia di Alzheimer, caratterizzata da un deterioramento progressivo e irreversibile delle funzioni cognitive, come disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione e problemi ad orientarsi nel tempo e nello spazio, che portano poi alla perdita della propria autonomia.
 
Anche se riguarda prevalentemente le persone più anziane può manifestarsi precocemente anche in adulti tra i 40 e i 65 anni. 
 
Diversamente dalle altre forme di demenza, le cause dell’Alzheimer sembrano collegate all’interazione tra due proteine (la beta-amiloide e la tau) la cui sintesi è in grado di provocare la morte delle cellule nervose.
 
Gli studi ad oggi condotti hanno permesso di individuare alcuni fattori di rischio di insorgenza della malattia come ad esempio età avanzata, familiarità, traumi cranici, patologie cerebrovascolari, diabete e stili di vita.  
 
La ricerca sulla malattia di Alzheimer
I primi studi sulla patologia risalgono ai primi anni del 1900, quando il dott. Alois Alzheimer, psichiatra tedesco, ne descrisse il primo un caso. Da allora la ricerca non ha mai smesso di indagare cause, decorso, sintomi. L’obiettivo resta comunque la prevenzione e, ovviamente, una cura definitiva.
 
Individuare parametri per una diagnosi sempre più precoce e la sperimentazione di trattamenti in grado di rallentare la progressione della malattia sono i principali filoni di ricerca del Policlinico sull’Alzheimer. A questi si uniscono studi per migliorare la gestione della quotidianità di una malattia complessa e a così alto impatto sociale, che coinvolge non solo il paziente ma anche tutti coloro che vivono al suo fianco.
 
<<Siamo oggi in grado di raggiungere una diagnosi precisa e precoce della malattia, grazie alla rilevazione delle proteine alterate, amiloide e Tau, nel liquor cerebrospinale mentre con la tomografia ad emissione di positroni (PET) determiniamo l’amiloide e stiamo lavorando per arrivare a determinare anche la Tau – spiega Flavio Mariano Nobili, medico e professore di neurologia presso la Clinica Neurologica –. Questa diagnosi è oggi possibile non solo nei pazienti con iniziali sintomi di deficit cognitivo, e cioè con deficit cognitivo lieve (‘Mild Cognitive Impairment’, o MCI) ma anche, se necessario, in soggetti asintomatici a rischio di sviluppare la malattia, indipendentemente dall’età. Questo è della massima importanza per iniziare trattamenti precocemente: il primo farmaco per infusione endovenosa (un anticorpo monoclonale, l’aducanumab alla cui sperimentazione ha contribuito anche la clinica neurologica universitaria del Policlinico) è in corso di registrazione per l’uso clinico nelle forme iniziali della malattia, e altri farmaci sono nello stadio avanzato di sperimentazione>>. 
 
Al Policlinico è molto attiva la ricerca anche su altre forme di demenza, in particolare quella a corpi di Lewy e la fronto-temporale che, sebbene meno frequenti della malattia di Alzheimer, sono particolarmente complesse ed eterogenee.