Il Radio-223 è usato come terapia contro le metastasi ossee da carcinoma prostatico, ma non tutti i pazienti beneficiano del trattamento. Uno studio, finanziato in parte dai fondi del 5x1000, ha individuato due parametri che forniscono informazioni importanti per individuare i pazienti che hanno più probabilità di beneficiare della terapia.

Il cancro alla prostata è la neoplasia maligna più frequente della popolazione maschile adulta. Nei casi più gravi, all’arrivo della diagnosi il tumore si presenta metastatico e l’approccio standard per contrastarlo è il trattamento ormonale, che blocca l’azione di alcuni ormoni maschili, gli androgeni tra cui il testosterone, responsabili della crescita della neoplasia. Nel tempo le cellule tumorali del carcinoma prostatico possono sviluppare una resistenza al trattamento ormonale e in questo caso si parla di carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione (mCRPC).
 
Più del 90% dei pazienti con mCRPC sviluppa metastasi ossee, con conseguenze importanti sulla sopravvivenza e sulla qualità di vita del paziente. Nei pazienti con sole metastasi ossee, nella pratica clinica viene somministrato il Radio-223, una terapia radiometabolica specifica per le metastasi ossee.
 
<<La somministrazione di Radio-223 per combattere le metastasi ossee nelle persone con mCRPC non è sempre la scelta ottimale: se iniziata troppo tardi, la terapia può addirittura avere conseguenze negative sulla sopravvivenza. Per questo motivo è indispensabile selezionare accuratamente i pazienti con maggiori probabilità di efficacia del trattamento>>. È quanto afferma Matteo Bauckneht, dell’Unità Operativa di Medicina Nucleare, che insieme a Giuseppe Fornarini e Sara Elena Rebuzzi, dell’Unità Operativa di Oncologia Medica 1, ha coordinato <<uno studio che, grazie anche ai fondi del 5x1000 destinati al Policlinico, ha permesso di identificare due biomarcatori che possono migliorare la selezione dei pazienti con carcinoma prostatico candidati al trattamento con Radio-223>>
 
<<Lo studio si è concentrato sull’analisi dell’impatto di due biomarcatori, l’infiammazione sistemica e la quantificazione della massa tumorale metabolicamente attiva, su 59 pazienti con carcinoma prostatico e metastasi scheletriche trattati con Radio-223 - aggiunge Sara Elena - In particolare, l’infiammazione svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella progressione del tumore. Il biomarcatore di infiammazione più studiato è il rapporto tra due tipi di cellule del sistema immunitario, i neutrofili e i linfociti, (NLR): livelli più alti di NLR (e quindi una presenza maggiore di neutrofili rispetto ai linfociti) predicono una bassa sopravvivenza in vari tumori, incluso il carcinoma prostatico. Analogamente, l’analisi dell’attività metabolica delle cellule tumorali attraverso l’impiego della PET/TC con 18F-Fliorodesossiglucosio (FDG) consente di stimare l’estensione e l’aggressività del cancro, parametri strettamente correlati alla probabilità di efficacia delle terapie oncologiche ed alla sopravvivenza globale>>.
 
Questi parametri potrebbero essere incorporati nell’attuale processo di selezione dei pazienti candidati a terapia con Radio-223. Tuttavia, in relazione alla natura monocentrica dello studio, i risultati ottenuti devono essere considerati preliminari, perciò è stato avviato uno studio multicentrico, che coinvolge 7 istituti oncologici italiani e che ha raccolto i dati di 549 pazienti, i cui risultati sono in corso di pubblicazione.