A dimostrarlo è il più grande studio al mondo mai pubblicato sulla vaccinazione anti-COVID nei pazienti con Sclerosi Multipla (SM), che, nonostante ricevano cure per controllare e bloccare l’azione del sistema immunitario, sviluppano livelli elevati di anticorpi. Il lavoro, coordinato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e l’Università degli Studi di Genova e co-finanziato dalla Associazione Italiana Sclerosi Multipla (AISM) e la sua Fondazione (FISM), è stato pubblicato oggi sulla rivista EBioMedicine, del gruppo The Lancet.

La Sclerosi Multipla (SM) viene classificata tra le malattie neurodegenerative autoimmuni perché è dovuta ad un’alterazione delle cellule immunitarie, che improvvisamente aggrediscono alcune componenti del sistema nervoso determinandone lo “sgretolamento” nel tempo.
 
Ogni anno in Italia la SM colpisce una persona su 500, tre su quattro sono donne. Al momento non esistono cure, ma ci sono terapie che consentono di rallentare il decorso della malattia, soprattutto contrastando l’azione dannosa dell’immunità.
 
Finora, ad eccezione di risultati preliminari arrivati dall’Israele, primo paese al mondo ad aver avviato la campagna vaccinale, non era noto l’effetto dei vaccini sui pazienti con SM, che rientrano nella categoria di “pazienti fragili”.
 
Una ricerca multicentrica coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dall’Università di Genova, e pubblicata su EBioMedicine, una rivista del gruppo The Lancet, ha dimostrato che, dopo un mese dalla seconda dose di vaccino anti-Covid, il 100% delle persone con SM, producono quantità elevate di anticorpi, nonostante i farmaci contro la SM vadano ad intaccare il sistema immunitario; la percentuale si riduce al 93% per il trattamento con fingolimod, al 64% per rituximab e al 44% per ocrelizumab. In tutti i casi, senza distinzione di età, sesso e tipo di terapia, è stato osservato che Moderna determina la produzione di livelli anticorpali 3.2 volte più alti rispetto a Pfizer. 
 
<<Il dosaggio degli anticorpi anti-COVID è avvenuto dopo 4 settimane dalla seconda dose del vaccino, quando cioè si dovrebbe avere la più alta produzione di anticorpi - spiega Maria Pia Sormani, professoressa del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Genova e del San Martino, coordinatrice principale dello studio - i risultati dimostrano che fingolimod, rituximab e ocrelizumab, inibiscono la produzione di anticorpi in seguito alla vaccinazione contro il Covid-19. Nei pazienti trattati con tutti gli altri farmaci i livelli sono normali. Inoltre, i pazienti vaccinati con Moderna hanno livelli di anticorpi di oltre 3 volte maggiori rispetto a quelli ottenuti con il vaccino Pfizer>>.
 
<<Lo studio prosegue con il completamento della raccolta dei campioni sui 2000 pazienti arruolati e sulla valutazione del follow up clinico - precisa Sormani - il nostro obiettivo è capire due aspetti fondamentali: prima di tutto monitorare la sicurezza e confermare che le ricadute di malattia non siano influenzate dal vaccino, secondo, molto importante, stimare l’incidenza di Covid-19 nei pazienti vaccinati, per capire se i livelli ridotti di anticorpi nei pazienti sottoposti a particolari terapie possa avere un impatto sul rischio di sviluppare la malattia in forma severa>>.
 
<<Non sappiamo ancora - prosegue Antonio Uccelli, neuroimmunologo e Direttore Scientifico del San Martino - se la riduzione di anticorpi contro il Covid-19 si traduca in una minore efficacia del vaccino. A questo proposito è fondamentale monitorare clinicamente i pazienti e studiare la risposta al vaccino mediata da altri tipi di cellule immunitarie, per esempio i linfociti T, che potrebbe garantire comunque una protezione sufficiente>>.
 
Questo è il primo grande studio che analizza la vaccinazione anti Covid nell’ambito della SM e i suoi risultati sono incoraggianti non solo per i pazienti con sclerosi multipla: è una ricerca apripista anche per tutte le altre malattie autoimmuni.
 
Leggi l’articolo: doi.org/10.1016/