Uno studio internazionale condotto dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, dall’Università di Genova, dall’Università di Zurigo e dalle Università austriache di Vienna e Graz ha individuato biomarcatori che aumentano del 7 % la sensibilità di previsione del rischio cardiovascolare nelle persone che hanno ricevuto una diagnosi di neoplasia, rispetto all’analisi standard che utilizza parametri tradizionali, tra cui età, sesso, fumo, malattie cardiovascolari preesistenti. I risultati, pubblicati di recente sulla rivista Journal of Thrombosis and Haemostasis, gettano le basi per l’adozione di strategie di prevenzione cardiovascolare mirate per le specificità oncologiche di ciascun paziente
Grazie ai progressi scientifici, sopravvivono alla malattia sempre più pazienti oncologici, tuttavia tra questi si stima un rischio di sviluppare eventi cardiovascolari avversi (MACE) pari al 42%, soprattutto nel primo anno dopo la diagnosi di cancro. In questo contesto è emersa la necessità di migliorare la gestione delle complicanze cardiovascolari legate sia alla patologia tumorale sia ai trattamenti oncologici.
«Le linee guida cardio-oncologiche attuali riconoscono la necessità di prevenzione cardiovascolare precoce, cioè prima dell’inizio dei trattamenti oncologici – spiega Luca Liberale, Dirigente Medico presso l’U.O. Clinica di Medicina Interna I, Professore associato dell’Università di Genova e co-autore dello studio -, ma gli strumenti attualmente disponibili non tengono sufficientemente conto delle peculiarità oncologiche».
Lo studio
«Per colmare questa lacuna ed ottenere una previsione più accurata del rischio di eventi cardiovascolari acuti, ad esempio di infarto miocardico e di ictus ischemico, e di mortalità cardiovascolare nei pazienti oncologici – prosegue Liberale -, il progetto ha analizzato la combinazione di fattori di rischio tradizionali, come età, sesso, tabagismo e malattie cardiovascolari preesistenti, insieme a biomarcatori specifici di disfunzione cardiovascolare, tra cui la proteina NT-proBNP*, prodotta quando il cuore è in affaticamento, e le selectine (P-, E-, L-selectine) e ICAM-1, che svolgono un ruolo essenziale nel processo di infiammazione».
Nell’ambito del Vienna Cancer and Thrombosis Study, uno studio osservazionale che comprende un totale di 2302 pazienti oncologici arruolati da ottobre 2003 a settembre 2019, sono state coinvolte 2192 persone con un’età media di 62 anni, di cui il 47% donne e metà fumatori o ex-fumatori. I partecipanti avevano ricevuto una nuova diagnosi o sviluppato una recidiva di vari tumori, tra cui polmone (18%), mammella (15%), linfoma (12%), colon-retto (9%), glioblastoma (9%), prostata (7%) e pancreas (7%). Attraverso un follow up durato rispettivamente due e cinque anni, il progetto ha analizzato l’incidenza di eventi cardiovascolari e la mortalità cardiovascolare.
«A ciascun fattore di rischio tradizionale è stato dato un valore specifico per sviluppare un punteggio di rischio clinico che includesse anche i biomarcatori – spiega Fabrizio Montecucco, direttore dell’U.O. Clinica di Medicina Interna I e Professore Ordinario dell’Università di Genova che, insieme a Cihan Ay (Medical University of Vienna) e Florian Moik (Medical University of Graz), ha coordinato la ricerca -. I risultati hanno confermato che integrando ai parametri standard anche l’analisi dei biomarcatori si migliora sensibilmente la capacità predittiva: nei due anni successivi alla diagnosi oncologica, si osserva un aumento del rischio futuro di eventi cardiovascolari nei pazienti con alti livelli di NT-proBNP, di selectine P ed E e di ICAM-1 e con minore produzione di L-selectina. Questo approccio offre uno strumento pratico per guidare le decisioni cliniche, come l'introduzione precoce di terapie cardioprotettive nei pazienti ad alto rischio».
*NT-proBNP è l’acronimo di Frammento ammino-terminale del pro Peptide Natriuretico di Tipo B (BNP)
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