Uno studio internazionale guidato dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e dal Centro di Cardiologia Molecolare dell’Università di Zurigo ha individuato in JCAD un fattore aggravante i danni cerebrali a seguito di ictus ischemico. I risultati aprono la strada a strumenti prognostici e possibili nuove cure per i pazienti colpiti.

Immagine astratta decorativa raffigurante un cervello nel palmo di una mano.

Ogni 6 minuti in Italia una persona viene colpita da ictus ischemico, che rappresenta una delle principali cause di morte e disabilità nel mondo. La diagnosi dell’ictus ischemico è una corsa contro il tempo: circa 2 milioni di neuroni muoiono ogni 60 secondi in caso di ischemia cerebrale non trattata, ma mancano ancora strategie terapeutiche neuroprotettive efficaci per proteggere il cervello nella fase postischemica.


Uno studio internazionale, coordinato da Luca Liberale, Dirigente Medico presso l’U.O. Clinica di Medicina Interna I presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e Professore Associato all’Università di Genova, con la collaborazione del Centro di Cardiologia Molecolare dell’Università di Zurigo, l’Ospedale Universitario di Basilea, ha fatto luce su un nuovo attore chiave nella progressione dell’ictus ischemico: si tratta della proteina JCAD (junctional protein associated with coronary artery disease), altamente espressa nelle cellule endoteliali, che rivestono l’interno dei nostri vasi sanguigni.

“I risultati della ricerca hanno dimostrato che l’espressione di JCAD peggiora significativamente l’entità del danno cerebrale dopo l’evento ischemico spiega Liberale –, bloccare la sua azione, al contrario, ha un effetto protettivo misurabile sia dal punto di vista istologico che neurologico. Tutto questo dipende dal ruolo decisivo che la proteina gioca nell’aumentare l’infiammazione vascolare e nel danneggiare la barriera ematoencefalica (BBB) - il filtro di sicurezza che protegge il cervello - con conseguenze cliniche rilevanti. Infattiprosegue Liberale –, i dati su un modello murino di ictus ischemico hanno evidenziato che, a 48 ore dall’esordio dell’ictus, l’assenza di JCAD nelle cellule endoteliali riduce il volume dell’infarto cerebrale e migliora la performance neurologica”. 

A fronte dei promettenti risultati preclinici, i ricercatori hanno esplorato anche la rilevanza traslazionale di JCAD nei pazienti con ictus ischemico acuto.

In due coorti indipendenti di pazienti colpiti da ictus ischemico acuto, i livelli circolanti di JCAD risultavano aumentati già entro 6-24 ore dall’esordio dei sintomiriprende Liberale e livelli di concentrazione più alti erano associati ad una prognosi peggiore, incluso un tasso di mortalità a 90 giorni più elevato. Questo dato è particolarmente importante: JCAD potrebbe diventare un nuovo biomarcatore prognostico utile nella fase acuta dell’ictus”.

Dichiarazione di Luca Liberale: "La proteina JCAD aggrava l'ictus: bloccarla potrebbe proteggere il cervello e migliorare la prognosi dei pazienti colpiti.

Lo studio ha anche sperimentato una tecnica per “spegnere” la proteina JCAD subito dopo l’ictus, usando delle piccole molecole chiamate siRNA (una sorta di interruttore molecolare). I risultati sono stati molto simili a quelli ottenuti nei topi privi della proteina fin dalla nascita. Questo indica che, in futuro, potrebbe essere possibile sviluppare un farmaco che, somministrato nelle prime ore dopo l’evento ischemico, sia capace di ridurre i danni cerebrali intervenendo proprio su questa proteina.

Si tratta ovviamente di dati preclinici, ma molto promettenti - conclude Liberale -. Come biomarcatore, JCAD potrebbe migliorare la stratificazione del rischio nei pazienti con ictus ischemico acuto, identificando quelli con maggiore probabilità di esiti sfavorevoli. Inoltre, lo sviluppo di terapie mirate contro JCAD potrebbe rappresentare un importante passo avanti nella gestione dell’ictus ischemico, soprattutto per i pazienti non eleggibili per trattamenti di riperfusione o che non rispondono adeguatamente a questi.