Uno studio recentemente pubblicato sull’importante rivista The Journal of Allergology and Clinical Immunology apre scenari inediti sul funzionamento dei vaccini a mRNA, come il BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) sviluppato contro il COVID-19: questi vaccini non si limitano a offrire protezione contro il virus, ma sembrano potenziare il sistema immunitario in modo tale da renderlo più efficace anche nel riconoscere e combattere i tumori solidi
I vaccini a mRNA, come quelli sviluppati contro il COVID-19, hanno introdotto una nuova modalità di attivazione del sistema immunitario, diversa da quella dei vaccini tradizionali. Uno studio condotto dal prof. Guido Ferlazzo, Direttore dell’U.O. Patologia e immunologia sperimentale dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, in collaborazione con il Dipartimento di Patologia Umana dell’Università di Messina, suggerisce che il potenziale di questa tecnologia va ben oltre la semplice protezione da infezioni virali. Nelle persone vaccinate una classe di cellule immunitarie, i linfociti T, si “armano” con nuove proteine di superficie, che permettono loro di diventare estremamente protettivi non solo contro il COVID-19, ma anche contro tutte quelle malattie per cui il nostro sistema immunitario abbia già sviluppato anticorpi.
“Questa risposta così mirata potrebbe essere legata alla composizione innovativa dei vaccini a mRNA, che, a differenza di altri, invece di introdurre direttamente un frammento del virus, forniscono alle cellule del corpo le istruzioni per produrre internamente una proteina virale (l’antigene) – spiega Ferlazzo -. L’antigene viene poi esposto sulla superficie delle cellule, rendendole vulnerabili all’azione del sistema immunitario che ha il compito di rilevare ed eliminare eventuali minacce. Nel caso dei vaccini a mRNA, questa esposizione degli antigeni è particolarmente efficiente, tanto da attivare direttamente alcuni particolari linfociti T, quelli che presentano sulla propria membrana la proteina CD8, che si mettono subito in allerta per riconoscere e distruggere cellule potenzialmente infette. Lo studio ha dimostrato che, dopo due dosi del vaccino a mRNA BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) contro il COVID-19 in 30 persone sane, una parte significativa di questi linfociti comincia ad esporre sulla superficie un nuovo marcatore, il CD16, solitamente associato alle cellule immunitarie Natural Killer (NK). Questa caratteristica modifica il comportamento dei linfociti T, rendendoli più simili alle NK, note per la loro potente azione contro infezioni virali e cellule tumorali.
Inoltre, l’mRNA contenuto nel vaccino ha anche un effetto stimolante sul sistema immunitario – prosegue Ferlazzo -. Alcune sue sequenze, infatti, vengono riconosciute da speciali sensori interni delle cellule che attivano ulteriormente la risposta immunitaria, come se l’organismo stesse davvero affrontando un’infezione.
I risultati suggeriscono che la vaccinazione con BNT162b2 (Pfizer-BioNTech) contro il COVID-19 – e con ogni probabilità anche altri vaccini a mRNA, inclusi quelli attualmente in fase di sperimentazione contro i tumori – è in grado di attivare una popolazione di linfociti particolarmente efficace: queste cellule immunitarie non solo svolgono un ruolo diretto nella difesa contro il virus, ma sembrano anche dotate di proprietà che le rendono capaci di riconoscere e attaccare cellule infette o alterate. In pratica, si tratta di linfociti in grado di intervenire in presenza di anticorpi già esistenti nell’organismo, potenziando così tutte le immunità acquisite in passato. Questo significa una protezione più ampia non solo contro il COVID-19, ma anche contro altre infezioni per cui il corpo ha già sviluppato difese.
Inoltre – conclude Ferlazzo -, questi linfociti potrebbero avere un ruolo importante anche nella sorveglianza contro i tumori. Infatti, sarebbero in grado di penetrare i tessuti solidi in modo più efficace rispetto alle “colleghe” NK, potenzialmente contribuendo a un riconoscimento precoce e a una migliore risposta contro le cellule tumorali”.
In definitiva, i vaccini a mRNA non solo aprono nuove strade nella prevenzione delle malattie infettive, ma potrebbero rappresentare una risorsa preziosa anche nella lotta contro il cancro, grazie alla capacità di stimolare forme di immunità più versatili e potenti.
Può interessarti anche Identificate le spie che migliorano la previsione del rischio cardiovascolare in pazienti oncologici