Da una ricerca coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova e l’azienda farmaceutica AstraZeneca, arriva la scoperta rivoluzionaria sui meccanismi di resistenza alla chemioterapia nel carcinoma ovarico.

Da oggi il carcinoma ovarico sieroso di alto grado, la forma più aggressiva di tumore delle ovaie spesso resistente alla chemioterapia, fa meno paura: la presenza della proteina SLFN11 (sigla dal nome Schlafen11) nelle cellule del tumore dell’ovaio in stadio avanzato rende il cancro più sensibile ai trattamenti chemioterapici e quindi più facile da sconfiggere. A dimostrarlo è uno studio internazionale, coordinato da IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, Università di Genova e AstraZeneca e pubblicato di recente sull’importante rivista JCI Insight, che per la prima volta ha individuato uno dei meccanismi coinvolti nella risposta tumorale ai farmaci utilizzati durante la chemioterapia.
 
In Italia sono circa 5.200 le donne colpite ogni anno da tumore dell’ovaio e solo il 40% di loro sopravvive a distanza di 5 anni dalla diagnosi; una percentuale di sopravvivenza così bassa si registra soprattutto perché la malattia allo stadio iniziale non dà sintomi e in molti casi viene individuata quando è già in fase avanzata. Inoltre, 7 donne su 10 sviluppano una delle forme più aggressive della neoplasia: il carcinoma ovarico sieroso, che spesso è resistente alle cure con farmaci chemioterapici. 
 
La chemioterapia ha l’obiettivo di bloccare la crescita del tumore danneggiando il DNA delle cellule neoplastiche, che quindi sono destinate a morire. Però, non tutti i tipi di cancro sono sensibili al trattamento o possono sviluppare nel tempo una forma di resistenza. Per questo è necessario identificare un meccanismo che possa prevedere gli effetti delle cure e potenziare l’azione delle cellule immunitarie che si infiltrano nel tessuto tumorale per contrastarne la crescita. 
 
<<Lo studio ha analizzato il legame tra la proteina SLFN11, identificata da noi nove anni fa per la sua capacità di favorire la morte delle cellule esposte ad agenti che causano danno al DNA, come il platino, e la buona riuscita della chemioterapia a base di platino in donne con carcinoma ovarico sieroso di alto grado - spiega Gabriele Zoppoli, ricercatore presso la Clinica di Medicina Interna a Indirizzo Oncologico e coordinatore dello studio - I risultati hanno dimostrato che nei tessuti cancerosi isolati da  pazienti risultate resistenti al trattamento SLFN11 è assente nelle cellule del tumore; al contrario, nei campioni prelevati da  donne che hanno ottenuto benefici dal trattamento si è registrata la presenza della proteina. Inoltre, i dati hanno mostrato che quando SLFN11 si trova sia nelle cellule tumorali, sia in quelle del sistema immunitario infiltrato, è la stessa proteina a stimolare, con un meccanismo circolare, la produzione di ulteriore SLFN11, amplificando la sensibilità del tumore alla chemioterapia>>.
 
Conclude Zoppoli: <<La proteina SLFN11 può essere considerata non solo un fattore prognostico, perché la sua presenza nelle cellule neoplastiche è associata a un livello di curabilità maggiore, ma anche predittivo: trovarla nel sistema immunitario e nel cancro indica che verosimilmente il tumore è sensibile alla chemioterapia, indirizzando il medico verso la migliore scelta terapeutica per il paziente. Inoltre, stiamo ampliando lo studio anche ai nuovi farmaci immunoterapici, che funzionano estremamente bene in diversi tipi di tumori per cui non esistono ancora chiari biomarcatori che ne predicano la risposta ai trattamenti>>.
 
Per leggere l’articolo: insight.jci.org/articles/view/146098