Dopo un tumore al seno aumenta il rischio di gravidanze indesiderate per l’aumentato tasso di abbandono dei metodi contraccettivi, anche di quelli non ormonali nonostante possano essere utilizzati in sicurezza in queste donne. Uno studio internazionale condotto in collaborazione tra l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e diversi centri francesi coordinati dal gruppo UNICANCER, e pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, sottolinea la necessità di migliorare la comunicazione circa la sicurezza della contraccezione e le metodiche che possono essere utilizzate nelle donne dopo diagnosi di tumore al seno. Effettuare regolari consulti ginecologici è la chiave per scegliere il metodo contraccettivo più adatto nelle donne che non desiderano avere figli.

Sono 3.300 le giovani donne in età fertile che ogni anno sviluppano un tumore al seno: circa il 6% delle oltre 55 mila diagnosi registrate nel 2022 in Italia. Tuttavia, se da un lato grandi progressi sono stati fatti nei trattamenti per preservare la fertilità, poca attenzione è stata rivolta alle donne che invece non desiderano una gravidanza dopo il cancro. A fare luce uno studio internazionale condotto in collaborazione tra l'IRCCS San Martino di Genova e diversi centri francesi coordinati dal gruppo UNICANCER, e pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, che ha analizzato i dati di quasi 3000 donne incluse nello studio multicentrico CANTO, evidenziando come, entro due anni dalla diagnosi, fino al 15% delle donne in età fertile sospende l’uso dei contraccettivi, pur esistendo metodi sicuri che non aumentano il rischio di recidiva.
Un'adeguata consulenza ginecologica durante il percorso oncologico prima, durante e dopo i trattamenti, aiuterebbe a salvaguardare la qualità di vita futura delle giovani donne per le quali la riproduzione e la vita sessuale continueranno a ricoprire un aspetto rilevante.

<<Con quasi 56.000 nuove diagnosi nel 2022 il tumore al seno si conferma la neoplasia più frequente nelle donne italiane, ma grazie a diagnosi precoce e terapie sempre più mirate fa registrare il più alto tasso di sopravvivenza tra i tumori solidi - commenta Matteo Lambertini, primo autore dello studio e professore associato presso la Clinica di Oncologia Medica del San Martino - Università di Genova -. Oltre alle cure oncologiche, è fondamentale garantire una buona qualità di vita durante e dopo le cure. Tuttavia, se da una parte sono stati fatti numerosi passi avanti nelle strategie e nei trattamenti per preservare la fertilità, dall’altra c’è ancora poca attenzione per le donne che invece, per diversi motivi, non sono alla ricerca di una gravidanza dopo il cancro>>.

Lo studio
Lo studio internazionale condotto in collaborazione tra l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e diversi centri francesi coordinati dal gruppo UNICANCER ha analizzato in 2900 pazienti under 50 i dati sull’assunzione di contraccettivi al momento della diagnosi di tumore al seno e a distanza di 1 e 2 anni.

<<I risultati mostrano che il 54% delle donne usava anticoncezionali al momento della diagnosi - spiega Matteo Lambertini - ma dopo un anno fino al 15% non li proseguiva. Inoltre, se inizialmente 6 donne su 10 prediligevano i metodi ormonali come la pillola, dopo il tumore circa il 95% delle pazienti modificava giustamente le proprie abitudini in favore di contraccettivi di tipo non ormonale (essendo quelli ormonali controindicati in pazienti operate per un tumore al seno), tra cui il dispositivo intrauterino in rame, la spirale, o il preservativo. Oltre il 7% delle pazienti si è indirizzato invece verso procedure irreversibili, come la rimozione delle ovaie>>.

Molte donne quindi dopo un tumore al seno non ricorrono a metodi contraccettivi sicuri ed efficaci, probabilmente nel timore che possano influenzare la ricomparsa della malattia oppure credendo erroneamente di essere diventate sterili dopo le cure antitumorali. Un’altra possibile spiegazione è rappresentata dall’impatto delle cure oncologiche sulla salute sessuale delle giovani pazienti. Questo minor controllo sulle gravidanze potrebbe spiegare i tassi più alti di aborto indotto registrati tra le pazienti colpite da tumore al seno rispetto alla totalità della popolazione femminile.

<<Dalla ricerca emerge la necessità di includere una consulenza ginecologica all’interno del percorso oncologico già previsto - conclude Lambertini - Ciò permetterebbe di tranquillizzare le pazienti che non cercano una gravidanza e consentirebbe una prescrizione più sicura e 'su misura' di anticoncezionali>>.

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